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venerdì 13 febbraio 2015

Ipotesi


Difficilmente si può essere amici di una persona che non condivide le tue stesse idee politiche o religiose, ma è normale esserlo di una persona di cui non apprezzi il lavoro artistico.
Perché la mia opera non coincide interamente con ciò che sono. Io e l'artista siamo due persone diverse, a volte ci incontriamo, a volte siamo all'opposto. Da artista posso fare quello che voglio senza che ciò influisca sulla mia vita. I miei quadri mi rappresentano quanto un personaggio di un film rappresenta l'attore che lo interpreta. Un pittore non può essere giudicato nella vita per quello che fa da artista, così come un attore non può essere arrestato perché ha interpretato il ruolo di un serial killer.
Perché l'arte non è la vita.
Io mi diverto e sono felice quando lavoro, da quando inizio a montare la tela fino alla vernice finale.
L'importante è solo questo e a chiunque mi presenti una propria opera d'arte vorrei chiedere soltanto "sei felice quando la fai?".

Da artista non apprezzo mai il lavoro di un altro artista. Davanti ad un'opera mi emoziono perché ritrovo i gesti che io stesso faccio, l'emozione si mischia alla voglia di volerlo rifare e di volerlo superare.
Guardare le opere degli altri è il miglior modo per trovare l'energia per continuare le proprie.
Davanti a un tramonto l'uomo non-artista si emoziona e lo ammira. L'artista si emoziona e vuole dipingerlo.

Magritte nel 1928-29 scrive su un suo quadro “Questo non è una pipa”, indicando che l’opera rappresenta la realtà, ma non è la realtà stessa. Questo pensiero però, non gli ha impedito di dipingere per altri 40 anni.
La pittura, se vista da un certo lato, è solo un ammasso di materia colorata sopra altra materia.
Tuttavia il pensiero di cosa sia “realmente” la pittura non mi impedisce di dipingere.
Così come sapere che il linguaggio è un insieme di suoni convenzionali non mi impedisce di parlare. 
Così come sapere che dovrò morire non mi impedisce di vivere.

La pittura è sempre stata figurativa e narrativa, il fatto che negli ultimi 50 anni non sia stato così, non importa. L’arte è senza tempo, non esiste una successione temporale e progressiva, l’arte non è mai anacronistica.

L'artista non può essere materialista, ma è sempre metafisico e spirituale. A lui non interessa la materia in sé ma ciò che sta dietro e ciò che quella materia simboleggia. L'artista non riesce solamente a vivere ma è interessato a ciò che è oltre la vita.

L'arte contemporanea studia il reale non più attraverso il pensiero artistico ma attraverso quello scientifico. Non rende giustizia alla vita, non lascia che essa viva, al contrario la uccide analizzandola, sezionandola razionalmente.

L'arte non è razionale o irrazionale, ma è un tipo di pensiero ulteriore.

Nell’arte denominata come “informale” o “espressionista” la tecnica diventa il fine. Per sua volontà quest’arte non comunica niente, non dice, non prende posizione e si lascia interpretare in ogni modo da chiunque la guardi.

Se disegno un fiore astratto, espressivo, simbolico, esso rappresenta tutti i fiori del mondo. Posso associarlo ad una margherita come ad un geranio. Uniforma tutti i fiori, li ingloba in un unico segno, è un disegno metafisico, è il tutto-uguale.
Se invece disegno ogni singolo fiore, nella sua unicità, riesco a capire non soltanto le differenze tra diverse specie di fiore, ma le differenze tra ogni singolo, unico fiore, rispetto a un altro della sua stessa specie. Niente è uguale, una cosa non è neanche uguale a se stessa.
Il disegno tutto-uguale non sarà mai sbagliato, qualsiasi segno sarà giusto in quanto frutto della “libera creatività”.
Il disegno di-volta-in-volta-diverso non potrà mai diventare stile e maniera, cambierà sempre perché è il frutto di un ragionamento che affronta la cosa da rappresentare ogni volta in maniera differente a seconda delle sue caratteristiche.

Esistono i disegni sbagliati.
Un disegno sbagliato è irrimediabilmente tale, si può solo buttarlo e farne un altro.

L’arte nasce dalla vita. Se non ho vissuto non potrò mai creare un’opera d’arte. Se la mia vita si riduce allo studio dell’arte, creerò soltanto meta-arte che parlerà di se stessa, non più della vita.

L’opposto del nichilismo è il sacro. Il nichilismo porta qualsiasi cosa allo stesso livello, non crea distinzioni non crea gerarchia. Il sacro, invece, delimita ciò che è diverso.
L’arte del 900 è stata essenzialmente nichilista. Essendo arte ha quindi anticipato i tempi. Dall’impressionismo si è iniziato a concepire il reale così com’è, senza significati ulteriori. Si è continuato analizzando soltanto la parte fisica, materiale e calcolabile della realtà. L’apice si è raggiunto con la pop art, la quale uniforma tutto, sostituisce il sacro al profano, si interessa soltanto alla superficie del reale.

L’opposto dell’uomo nichilista è l’uomo onorevole. Il primo vive senza responsabilità, non sceglie ma agisce seguendo un ingenuo concetto di libertà che giustifica qualsiasi cosa egli faccia. Nel mondo nichilista tutto è uguale, uccidere una persona equivale ad amarla.
L’uomo onorevole rispetta delle leggi che si impone attraverso l’autodisciplina. E’ consapevole che infrangendo queste regole nulla cambia. Per lui non esiste un perdono o una salvezza finale, ogni errore rimane indelebile, l’unica cosa che può fare è riconoscerlo come tale e non ripeterlo più. L’uomo onorevole vuole esporre le proprie idee, vuole metterle alla prova per testare la loro solidità.
L’uomo religioso non ha idee proprie ma segue concetti inventati da un altro. Ha paura che mettendoli alla prova questi concetti crollerebbero.

L’artista è l’uomo più onorevole di tutti perché si impegna a creare nel modo migliore possibile qualcosa di totalmente inutile.

Tutta l’arte è sacra perché crea distinzioni, innalza qualcosa a discapito di un’altra. Ogni azione artistica è frutto di una scelta ed è la creazione di una gerarchia.

Lavorare un anno in una segreteria di un centro sportivo mi ha insegnato molte cose riguardo il nichilismo. Uno dei miei compiti era raccogliere i moduli di iscrizione, 4 o 5 per ogni persona, più le fototessere e la carta d’identità. Ogni iscrizione completata finiva in grossi faldoni disposti in ordine alfabetico.
Alla fine della stagione sportiva tutti quei moduli potevano essere buttati, come io stesso ho buttato quelli della stagione precedente.
Ho passato un anno a raccogliere fogli che poi avrei buttato. Ma durante il lavoro mi impegnavo, ritenevo che fossero importanti, credevo che ci volessero tutte le firme apposte negli spazi giusti. Non potevo fare altrimenti. Se avessi pensato “qui manca una firma, ma non fa niente” tutto sarebbe crollato. Il mio lavoro non avrebbe avuto più senso.
Per vivere bisogna credere in quello che si sta facendo, come se fosse la cosa più importante del mondo. Qualsiasi cosa si stia facendo.

Ho studiato in una accademia dove l’accademismo è vietato.
Dove tutti erano talmente “liberi” da rifiutare qualsiasi cosa che non fosse “libera”.
Dove i manieristi dell’informale mi dicevano di non essere manierista.
Credo che nell’arte esistano regole precise, come pure la distinzione tra il bello e il brutto.

Vorrei avere un maestro da seguire e da copiare.
Vorrei essere come quegli scultori antichi, che creavano delle statue che sarebbero state poste sulla cima delle cattedrali, nascoste tra archi, contrafforti e guglie. Nessuno da sotto le avrebbe viste, ma lo scultore sapeva che c’erano.
Lo scultore sapeva che Dio le avrebbe viste e per questo motivo dovevano essere bellissime.
Sapeva che dio avrebbe visto la sua statua e per questo lo avrebbe ricompensato.
Scolpiva per sentirsi migliore di fronte a Dio.

La globalizzazione porta all’uniformità dei costumi. L’arte non può essere uniformata, l’arte vive nel particolare, nel locale. Un’arte globale sarebbe vuota e non rappresenterebbe nulla. Com’è possibile che io possa identificarmi in un’arte che è stata creata in un paese dall’altra parte del mondo? Come posso capire l’arte che nasce dalla vita di un americano, di un indiano, di un africano? Posso solo apprezzarla, ma l’arte che mi rappresenta è soltanto quella nata dalla mia terra. L’arte dunque è universale ma nasce dallo specifico.

Come artista, prima che un essere umano, sono occidentale, europeo, italiano, lombardo, milanese.

La nebbia è una caratteristica del luogo in cui sono nato e cresciuto, è una parte essenziale della terra in cui sono stato destinato. In altri luoghi la nebbia non c’è e le persone che ci vivono non l’hanno mai esperita. Se essa esiste, dove sono nato io, ci sarà un motivo.
Non possiamo eliminare la nebbia, è lei che ci accoglie, siamo noi gli ospiti. Non possiamo sopprimerla perché essa è parte di noi, è la caratteristica della nostra terra. Possiamo soltanto venerarla, ammirarla, passarci in mezzo gustandola fino in fondo, elogiare la sua presenza. Non importa se causa disagi.
I luoghi non sono tutti uguali. La civiltà globalizzata vuole portare tutto all’uniformità, non avere più luoghi caratteristici ma soltanto città identiche in qualsiasi parte del mondo. Grattacieli senza relazione con la terra dove poggiano, senza nessun rapporto con l’essenza del luogo.
Non è viaggiando che si trova la propria casa, ma contemplando la propria terra, amandola e venerandola.
Non si può odiare la nebbia.
Non si può odiare qualcosa che esiste.
Non si può avere l’angoscia di vivere.
Non si può odiare la vita, essa ci appartiene.

Gli artisti moderni sono troppo considerati all’interno della società.

Nessun happening, nessuna performance, nessuno pseudo-rito di Herman Nitsch sarà mai emozionante e coinvolgente quanto una qualsiasi messa in una qualsiasi chiesa. I riti, per essere tali, devono essere condivisi. Nessuno può inventarne di nuovi o importare riti da un passato o da una terra che non appartiene al suo popolo. Gli eventi collettivi per essere emozionanti si devono basare su costumi condivisi e sentiti come propri da ogni persona che vi partecipa.


LCPA

Andrea Mantegna - Pala di San Zeno (particolare)


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