Cuore Amore Errore Disintegrazione è un disco degli Uochi Toki.
Cuore Amore Errore Disintegrazione è un disco.
Cuore Amore Errore Disintegrazione è.
Ed è questa la sola cosa
importante: che esso sia.
Per questo vorrei parlare di
questo disco, non di chi l’ha prodotto, scritto, cantato. Il fatto che sia un
disco degli Uochi Toki non ha importanza, nemmeno l’ordine in cui si dispone
nella loro discografia ne ha. Non so neanche se qualcun altro ha già scritto
articoli simili al mio, la cui qualità e utilità è dubbia, quello che mi
interessa è riflettere sui contenuti dell’album. Se prima o dopo questo disco
gli Uochi Toki avessero fatto qualcosa di totalmente diverso, non importa, la
cosa fondamentale è che questo disco è stato creato e ora esiste e possiamo
ascoltarlo. Qui vale la frase che fa da titolo ad un album di Dargen D’Amico: Musica senza musicisti. Ogni disco
andrebbe ascoltato come se fosse caduto dal cielo o ritrovato sottoterra, senza
alcuna scritta sopra che possa collegare l’opera al suo creatore.
La domanda a cui cerco di
attenermi è la seguente: Cosa vuol dirci questo album? Cosa vuol descrivere,
raccontare, comunicare? Non basta ascoltarlo una volta per capirlo, bisogna
scavare la superficie e scendere in profondità. Ed è lo stesso disco a
suggerirmi cosa fare:
È
per questo che dello scritto bisogna leggere non il significato ma lo spirito,
tutto quello che le parole non dicono. (…) Intanto rendiamo pubblico questo
gettito che sarà sempre superficiale – poi chi vuole avrà tutti gli strumenti
per tracciarne l’impianto radicale.
Questo disco racconta alcune esperienze di vita vissuta ma anche storie inventate (quali sono le une e quali le altre?). In ogni caso tutte sono accomunate dallo stesso argomento di fondo: il rapporto con gli altri. Ogni canzone parla di un’esperienza emotiva data dall'incontro di una persona con un’altra.
Primo incontro con l’altro: I molteplici Io
Chi sono gli-altri? Sono tutte le
persone che non sono “io”, ma al tempo stesso “io” sono “l’altro” per gli-altri.
E chi sono io? È forse impossibile pensare l’io senza rapportarlo agli altri.
L’altro è (…) l’io che non è me.
Scrive, ad esempio, Jean-Paul Sartre nel suo libro l’Essere e il nulla. E ancora:
La nostra realtà umana esige d’essere simultaneamente per-sé e per-altri.
L’essenza della nostra coscienza, ovvero del nostro intenderci come uomini, non è solo un fatto individuale, ma è sempre un rapportarsi agli altri. Non è quindi possibile concepirsi solo sulla base di se stessi. Rimanere chiusi in sé porta a conoscersi in gran parte, ma non totalmente, manca sempre quel qualcosa di fondamentale che si intuisce nel nostro rapporto con gli-altri. Una gran parte del mio io, è per me inconoscibile. Gli-altri, per assurdo, conoscono molte cose di me che io stesso non percepisco. Questa situazione diventa, per il protagonista del disco, un problema e un motivo di riflessione. Se io non posso conoscermi totalmente vuol dire che non sono completamente padrone di me stesso! L’altro diviene per me un ostacolo fondamentale, che va superato per accedere alla completa conoscenza del mio io. È inutile scappare nei propri pensieri, nei propri sogni, gli-altri sono una costante presenza della nostra vita, ma soprattutto nella nostra essenza. Nella prima canzone, infatti, si sente:
Che cosa trovi nello svago di un sogno? Sul fondo hai sempre quel punto di contatto tra te e l’altro!
Nel disco l’io non è inteso come qualcosa di singolo e di unico, ma come l’insieme di molteplici io.
Sembra quasi che io non siamo uno solo. Siamo un sistema, un accordo, un tavolo coi segnaposto.
L’album è concepito in modo circolare, sia l’inizio della prima canzone che la fine dell’ultima descrivono un sogno. Nella prima il sogno sta per finire, il protagonista sta per svegliarsi. Credo proprio che io ci stiamo per svegliare. La parola io, di genere singolare, viene accostata a un verbo coniugato alla prima persona plurale. L’io è fatto da molteplici io, ma in che relazione stanno i diversi io? Sono tra loro “estranei”? Se così fosse ci sarebbero all'interno dell’io, un io-io e un io-l’altro. Dunque anche all'interno dello stesso io bisogna fare i conti con gli-altri! Io non sono solo io, unico, integro, ma Io sono tanti io, io sono anche gli-altri-io!
Nessuno può essere te! Sbagliato: noi posso essere gli altri, quindi è probabilissimo che la situazione si ribalti.
Lo scrittore Hermann Hesse descrive la stessa situazione nel suo libro Il lupo della steppa. Quando dice:
E ancora:
Voi conoscete già l'errato e funesto concetto, secondo il quale l'uomo sarebbe un'unità durevole. Sapete anche che l'uomo è composto di una gran quantità di anime, di moltissime persone. (…) A colui che abbia visto la scissione del proprio io facciamo vedere che può ricomporre i pezzi in qualunque momento e nell'ordine che più gli piace, raggiungendo in tal modo una varietà infinita nel giuoco della vita. Come il poeta con un pugno di personaggi crea un dramma, così noi con le figure del nostro io sezionato costruiamo gruppi sempre nuovi con nuovi giuochi, nuove tensioni, nuove situazioni.
Anche nella canzone successiva c’è un rimando a questo concetto, infatti la frase: Voi non siete persone, non siete dialoghi, può essere interpretata come: le persone sono dialoghi in quanto sono costituite da infiniti io in dialogo tra loro, chi non ha la coscienza di ciò non può ritenersi una persona. Queste persone che non sono dialoghi sono le barriere dei patriarchi nei confronti di noi maghi, di cui si approfondirà più avanti.
Il disco parla del rapporto con gli-altri, per questo inizia descrivendo il rapporto con se stessi, con il proprio io. Se non si conosce a fondo se stessi, se non si sa prima cosa sia l’io, come si può approfondire e analizzare il rapporto tra me e l’altro?
Secondo incontro con l’altro: Il linguaggio
Il protagonista termina il sogno.
Svegliandosi passa dal mondo in
cui il punto ed il momento non esistono, al mondo del causa-effetto, sillogismo
e tempo lineare. Dal mondo onirico, al di fuori del tempo e dello
spazio, a quello “reale” o “sensibile”, costruito attorno agli opposti e alla
logica del terzo escluso. Nella canzone precedente si parla dell’io, in questa
si ragiona sul metodo attraverso cui l’io inizia a rapportarsi con gli-altri.
Qual è questo metodo? Il linguaggio, ovviamente, ma non solo il linguaggio
orale fatto di parole e grammatica, ma anche il linguaggio corporeo o
addirittura quello “telepatico” e non spiegabile razionalmente. Come potrebbero,
infatti, degli sloveni capire una canzone cantata in italiano? Ma a quanto pare
è possibile. Il protagonista la sera prima ha cantato in un concerto in
Slovenia e osserva:
Ieri sera sotto il palco la gente era molto ricettiva, e questo basta a compensare la diversità linguistica.
Dopodiché, girando per la città slovena, esperisce il linguaggio universale fatto di gesti, ovvero il linguaggio corporeo:
Cerco una panetteria con prodotti e prezzi ben esposti, in modo da potermi esprimere a gesti, versi, sgranate d’occhi. (…) Compro dolci austroungarici facendo gesti con le dita.
Il rapporto tra Io e gli-altri è quindi mediato da diversi tipi di linguaggi. Ora è il momento di applicarsi! Ma il protagonista ancora non riesce ad avere un rapporto con gli-altri e la canzone termina con un quasi incontro con una ragazza. Il narratore infatti è frenato dal pensiero che l’altro non possa capirlo, che il loro incontro non possa essere genuino, ma intermediato e coperto da preconcetti o luoghi comuni. Sostanzialmente per lui è difficile rapportarsi a gli-altri.
Non riesco a fermare una ragazza così, dal niente: temo sempre che non capisca quel che io voglio da lei, temo sempre che sovrapponga i pensieri degli altri ai miei.
Terzo incontro con l’altro: La minorenne
Anche l’incontro che avviene in
questa terza canzone non è un vero rapportarsi all'altro. Il protagonista vede
alcune ragazze in un Autogrill, di conseguenza le descrive e pensa, ma soltanto
pensa, al mondo in cui ci si potrebbe rapportare, ovvero: Aiutarle
a fare i compiti, dare indizi per gli ascolti e le letture.
Successivamente si accorge delle conseguenze del suo gesto, ovvero che il suo
osservare l’altro esige per forza che l’altro a sua volta osservi lui. Come
spiega Sartre, sempre in L’Essere e il
Nulla, lo sguardo dell’altro che si pone su di me, fa di me un oggetto. Io
perdo la mia libertà, la mia individualità, davanti a un estraneo sono
vulnerabile perché ridotto a un oggetto come tanti altri. L’oggettivarsi a
vicenda, è questa la magia più complessa, è anche per questo motivo che il
protagonista si definisce un mago.
Non ci siamo accorti che guardando le diciassettenni queste cominciano a sentirsi viste, dando luogo a conseguenze. Sistemi che osservano, sistemi che osservano. La magia è complessa.
Una di queste ragazze di avvicina a lui, ma il protagonista si perde nella sua immaginazione, non avviene un rapporto diretto ma soltanto un’esperienza immaginata dal narratore. In questo sogno la ragazza diventa uno spirito guida e gli racconta, come in un proemio epico, la storia che lui percorrerà attraverso l’intero album. Ed ecco che il protagonista è estasiato da questo incontro interiore e descrive ancora il suo io molteplice:
E che tu ci creda o meno, io non sono una persona ma quattordici. E che tu ci creda o meno, io sono gli altri, sono il caso.
Quarto incontro con l’altro: L’amica
Ci sarà forse, nella quarta
canzone, un vero rapporto diretto con gli-altri? Forse, ma non totalmente. In
questo brano avviene una telefonata, che in realtà è un monologo del
protagonista. Da cui, però, si possono intuire alcune domande o risposte che
arrivano dall'altro capo del filo. In questo brano si descrive un rapporto di
amicizia autentico. Esso è molto diverso dai rapporti di conoscenza
superficiali.
Amica mia, non guardiamo film assieme, non andiamo a divertirci: sono cose che fanno i conoscenti, non gli amici, sono scuse e gesti per occupare il tempo tra persone che non sanno cosa dirsi, che non voglion preoccuparsi.
Per il narratore l’amicizia vera non sono due persone che insieme si divertono e stanno bene sempre. L’amicizia vive anche di scontri, preoccupazioni. In un dialogo con un’amica ci si destabilizza a vicenda, ci si mette in crisi per scavarsi dentro e scoprire il proprio fondo originario. Anche l’amica diventa un mezzo per scoprire il proprio io, in quanto essa può parlarti in modo aperto e onesto.
Farci dei ritratti reciproci in cui specchiarsi per poi ritrarsi e ritrattare i fatti.
Il narratore odia i luoghi comuni e le etichette. Ogni persona è per lui un individuo singolo e irripetibile, che non può essere rinchiuso dentro a degli schemi prefissati. L’amicizia tra due persone è ogni volta diversa, non esistono leggi che regolano l’amicizia.
Noi siamo la risposta alla domanda “possono due persone di diverso sesso dialogare a fondo senza che scatti un movimento od ingranaggio che si muove sempre nello stesso modo, e che non fa mai un rumore nuovo?”.
Non esistono regole fisse, ognuno ha la propria amicizia con le proprie caratteristiche. Rimane, anche in questa canzone, uno dei temi centrali di tutto il disco: non volersi omologare sotto opinioni preconfezionate da qualcun altro. E in questa canzone c’è di più, in quanto il narratore spiega che anche ogni fenomeno esterno all'io non può influenzare l’io stesso. Se una persona sta male, anche il mondo che la circonderà diverrà maligno. Non è l’esterno che condiziona l’io, ma in questo caso è vero il contrario: il mondo del singolo soggetto muta in base alla sua visione.
Essendo ognuno una singolarità, esso
affronterà anche i problemi ogni volta in un modo diverso. In qualsiasi modo
egli vorrà, in quanto sarà lui a decidere. La storia non lo influenza, il
giudizio degli altri tanto meno. Prende dal mondo ciò che gli serve e lo cambia
a seconda del suo ego.
Soluzioni proprie, mai obsolete, mai prese in prestito come le diete, o perlomeno rimodernate, senza rispetto per chi le ha prestate.
La canzone arriva verso il finale con un accenno a ciò che accadrà nelle prossime canzoni. Ovvero altri tentativi di entrare in un rapporto con un altro che, spesso, non ha la stessa apertura e disponibilità al dialogo del narratore.
Sono troppe le persone di cui vedo il potenziale e che non mi permettono un’efficace interazione per pigrizia, per sfiducia o per diritto, che il mio non-rispetto lede, e si ritraggono.
Quinto incontro con l’altro: Il cerbiatto
Il narratore, come si è visto
nella precedente canzone, è alla costante ricerca dell’individualità delle
singole persone. Vuole distruggere le categorie che inglobano e dissolvono
l’individuo. In questa canzone si trova davanti a una ragazza, in un primo
momento anche lui la giudica in base a etichette e luoghi comuni:
Non arriva ai ventiquattro o ai venticinque. Storia dell’arte, comunicazione, oppure lingue.
Dopodiché inizia a concentrarsi sulla ragazza che ha di fronte, per superare le comuni dinamiche sociali. Vuole avere un dialogo autentico. Oltre un rapporto di interessi. Non pretende da lei niente, non vuole che secondi fini o passioni, come il sesso, corrompano il rapporto puro che si sta instaurando.
È per integrarsi tra i generi diversi che io spengo i miei interessi imposti e mi concentro sugli individualismi.
Ora i due possono parlare liberamente di qualsiasi cosa vogliano, senza malizia, senza tensioni.
Io cerco di tenere esposto quello che gli esseri umani di solito tengono dentro e nascosto.
Il narratore tiene esposto se stesso a gli-altri, e spera che in questo modo anche gli-altri facciano lo stesso. È questa la sua idea per la creazioni di nuovi rapporti tra le persone. I rapporti per lui dovrebbero basarsi sull'autenticità e l’onestà. Esprime questa sua teoria alla ragazza che ha di fronte, la quale risponde:
Per qualche motivo adesso mi fido, anche se sembri costruito. Ora sono serena.
Questa ragazza si fida del narratore per un “qualche motivo”, non c’è nessuna logica in questo, com'è possibile? Sembra quasi una forzatura irreale. Inoltre essa aggiunge che l’esporsi del narratore in questo modo naturale sembra, al contrario, un comportamento costruito a tavolino e preparato. Sembra che lui voglia sentirsi libero a tutti i costi, e quindi questo suo voler essere libero diventa una prigione che non gli permette di comportarsi in modo naturale.
Il dubbio riguardo il motivo per
cui la ragazza si fida del narratore è presto svelato. Alla fine della canzone,
infatti, si scopre che questo dialogo non è mai avvenuto, è solo frutto della
fantasia del protagonista. Vuol forse dire che un rapporto del genere non potrà
mai esistere realmente? Come si può, infatti, esporsi davvero a una persona,
farsi vedere per quello che si è realmente? Ogni contesto richiede un
atteggiamento diverso, ognuno di noi muta di continuo, si può essere sempre se
stessi in ogni occasione? E cosa vuol dire essere se stessi? E come ci si può
fidare senza timori e dubbi di un’altra persona appena conosciuta? E come si fa
a sapere se la si conosce davvero?
Dunque anche in questa canzone
non è avvenuto un vero rapporto con gli-altri, era pura immaginazione, tutto
sfuma, evapora lasciando l’autore a parlare con se stesso.
Sbiadisco l’immagine di me stesso e del cerbiatto che mangiamo dolci dallo stesso piatto. Rimango solo io che parlo, quasi contento, con questi suoni intorno, sopra, sotto. Nessun canone, nessun contesto.
Sesto incontro con l’altro: L’aborto
Uscire da se stessi e dalla
propria visione soggettiva per comprendere la visione dell’altro. In una sola
parola: immedesimarsi. O come lo chiama il narratore: L’incantesimo dell’immedesimazione.
Immedesimarsi è infatti un’arte
che solo un grande mago può gestire. Mettersi nei panni dell’altro vuol dire
non coprire i pensieri dell’estraneo con i propri. Vuol dire essere l’altro,
non essere l’idea che si ha dell’altro. Il proprio io non lo si può conoscere
da soli, si è già visto come l’io è sempre, come dice Sartre, un
essere-per-altri. In questo brano il narratore si immedesima in un’altra
persona, con un risultato doppio: non lo fa solo per conoscere l’altra persona,
ma anche per vedere se stesso con gli occhi dell’altro, e quindi vedere
l’immagine di se stesso nel mondo.
Il narratore si trova una sera in
un locale. Come sempre i suoi primi pensieri sono contro le convenzioni
sociali, che impongono di rapportarsi agli altri sempre negli stessi modi. In
questo locale incontra una ragazza che inizia a parlargli. Insieme alle
convenzioni sociali, come si è già visto, il protagonista odia tutte le
categorie generali, che non danno risalto all'individualità della singola
persona. Per questo si incuriosisce quando la ragazza nomina il suo intuito femminile.
Che cos'è questo intuito
femminile? Il narratore si interessa ma ha paura che questo intuito sia solo un
luogo comune riguardante le donne, non un intuito che la ragazza pensa
realmente di avere. Il narratore vuole sondare questa ragazza, arrivare alla
sua essenza, e come può farlo? Attraverso il dialogo, ma non un dialogo comune,
ma uno che la porti ad esporsi.
Le mie intenzioni non sono quelle di distruggerti. Voglio solo portarti in posti scomodi.
Il dialogo in questione, però, muta immediatamente in uno scontro.
Il litigio è l’espressione massima del salto nel vuoto dentro una persona definita come “sconosciuto”.
La ragazza lo accusa di essere una persona subdola che la vuole ingannare Ma, come abbiamo già visto, il narratore non ha mai questa intenzione, vuole al contrario avere un rapporto più libero e disinteressato possibile.
Mentre la ragazza continua a
parlargli, il narratore ha già incominciato l’incantesimo dell’immedesimazione:
Richiamo l’arte più profonda, quella di non essere me stesso. Chiedo al dio del caso il permesso di incarnarmi contemporaneamente nel mio corpo e in quello della ragazza che mi siede di fianco. Nessuna risposta. Nessun ostacolo.
La scena cambia d’improvviso, ci si trova in un luogo fuori dal tempo e dallo spazio. Il narratore è uscito da se stesso per entrare nel corpo della ragazza. Ora che si trova dentro di lei vede il mondo attraverso i suoi occhi, ascolta i suoi pensieri. Ma non sono tanto questi ultimi la cosa che gli interessa maggiormente scoprire. Il narratore vuole capire cosa significa essere una ragazza. Ma, ancora di più, cosa significa essere questa ragazza, questo individuo irripetibile che ora è seduto di fianco a lui.
Voglio sapere cose più fondanti. Cosa distingue questa persona dagli altri? Qual è la sua forza? Di cosa è composta l’essenza di ciò che è definito “intuito”? E perché lo lega al cromosoma doppia x senza y?
Ma ecco che scopre che anche questa ragazza nasconde la sua vera natura sotto etichette e luoghi comuni. È una femmina e quindi si sente debole, sente che deve comportarsi come la società moderna vuole che una donna si comporti. Ma ecco che, scavando sempre più a fondo, il protagonista trova un evento che l’ha segnata e caratterizzata. Essa ha avuto un aborto. Ed è forse stato questo evento che ha portato il suo vero io a scontrarsi con l’io imposto dalla società. In quel momento di sofferenza la sua vera natura si è svelata.
Ci sono scelte che si fanno al di fuori della collettività. Senza coscienza identitaria, senza tradizione rivoluzionaria, e l’aborto è una di queste. Questa ragazza è stata male perché attorniata dagli spiriti della morale in un momento doloroso e di concentrazione. E questi spiriti nascono da voi quando producete un’opinione. E come cercherete di ignorarmi? Dicendo che è una mia opinione? Allora lo faccio anch'io, dai. Vi glisso, vi sorvolo.
Ancora una volta il narratore spiega come spetti soltanto al singolo individuo prendere certe scelte. Non importano le convenzioni, la storia passata o gli usi e costumi del paese in cui si vive. Quando c’è da fare una scelta la singola persona deve agire soltanto sulle basi del suo vero io. Come nella figura dell’Unico, teorizzata da Max Stirner, la giustizia o la moralità non sono essenze a priori che possano comandare l’agire umano. Non esiste niente di tutto ciò, non esistono idee superiore alle quali attenersi, ma soltanto il singolo che sceglie secondo la sua volontà.
Ma come abbiamo già detto, l’incantesimo
dell’immedesimazione non serve soltanto a comprendere l’altro, ma anche se stessi
attraverso uno sguardo esterno. E infatti il narratore si auto-osserva con gli
occhi e i pensieri della ragazza, descrivendosi:
Uno stupido che cerca solo di incantarmi con stupidaggini sui maghi, discorsi vaghi. Ma dai, svagati e staccati. Smettila di proteggerti dagli altri bevendoti acque calde, raccontando aneddoti. Prenditi sul serio, prenditi meno sul serio. Mentre tu parli delle tue teorie filosofiche c’è gente che soffre per davvero. E poi guardati, con quel giubbotto sei ridicolo, ingenuo nei movimenti, nel taglio di capelli. Mi ricordi un bambino.
La ragazza, o meglio, il protagonista immedesimato nella ragazza che guarda se stesso, usa ancora termini generali e banali per descrive il narratore. Per questo lui si arrabbia e, uscendo dal corpo della ragazza e rientrando nel suo, le spiega le sue ragioni.
Mi volto e mi rivolgo: ragazza, chiedi di essere compresa, ma non sei disposta ad abbassare nessuna tua difesa. Tu sei in guerra. Un nemico, una divisa. Ma il nemico ha dei pensieri. Finché dispenserai inadeguatezza, finché ti chiuderai nel tuo concetto di giustizia, potrai soltanto schiacciare gli altri e combatterli. Le tue armi sono i lontani e vicini esempi di chi soffre veramente. Finché inali sofferenze tu sarai vincente, dalla parte giusta della morale. Potrai ordinare agli altri quando ci si deve divertire con un’offerta di alcol all'interno di un locale. Oppure quando bisogna piangere pensando ad un essere umano morto o al tuo aborto. Io soffro del tuo vedermi ridicolo. Accetto fatica e morte, ma soffro di ogni equivoco. Hai vinto.
La ragazza non capisce, è stupita. Infatti, dal suo punto di vista non sembra essere successo niente. L’incantesimo dell’immedesimazione agisce fuori dal tempo e dallo spazio. Perciò agli occhi della ragazza il narratore è sempre stato davanti a lei, infatti dice:
“Cos’hai fatto? Non abbiamo quasi parlato. Sembra che questo dialogo tu te lo sia inventato!”
E quale sarà dunque la verità? Il narratore si è davvero immedesimato? E se sì, l’immedesimazione è un dialogo? Oppure un monologo tra l’immedesimato e la persona dentro cui è? È stato uno scambio di pensieri, non un vero dialogo tra due persone distinte, staccate, non una vera dialettica.
Tuttavia il narratore pensa che comunque
la ragazza non sarebbe capace di intrattenere una vero dialogo. La
conversazione con uno sconosciuto, infatti, porta a esporsi, invece lei vuole
sentirsi sempre protetta, compresa e sicura della sua posizione. Infatti le
dice:
Tu vuoi un dialogo controllato, la risposta ad un richiamo, un cane pavloviano.
E aggiunge:
Non posso staccarti dal tuo concetto di uomo e di donna.
La ragazza ha delle idee fisse, dei luoghi comuni imposti dalla società. Ancora una volta ritorna il tema principale del disco: lo staccarsi dalle idee generali per portarsi sul piano dell’individualità.
Ancora una volta, però, non si è
arrivati ad un vero dialogo con l’altro.
Settimo incontro con l’altro: La nervosa
In questa canzone il narratore si
trova a viaggiare seduto in treno. Mentre mangia del riso in bianco osserva le
persone:
Ci sono anche delle persone, caratteristiche preziose sulle quali mi sto concentrando.
Come sempre si concentra sulle caratteristiche uniche e irripetibili di ogni singola persona. Ad un certo punto nota una ragazza che gli siede di fronte. Inizialmente la descrive esteticamente, dopodiché si concentra su alcuni dettagli: una spalla che si muove, le palpebre che sbattono, il suo corpo è nervoso e la ragazza continua a contorcersi, cambiando posa come infastidita. Allora il narratore inizia a interessarsi a questo suo comportamento, per cercare di capire quali sono i suoi pensieri e il perché del suo nervosismo. Continua a osservarla ma, come abbiamo già visto, non vuole guardarla in modo malizioso, ma puro. Nel suo continuo guardarla, ecco che all’improvviso capisce il motivo della sua agitazione:
Sono io! Sono io che quando la guardo la indispongo, la disturbo, la distruggo. Immaginando chi sia, cosa stia pensando. Sono io la fonte del disagio!
Capisce che il suo sguardo sull'altro influenza l’altro stesso. Qui il suo io si scontra con un altro io, che prova emozioni, che interagisce con il mondo come lui. Finalmente sta per avvenire il primo vero incontro con l’altro! Il narratore sperimenta infine cosa voglia dire rapportarsi a gli-altri: vuol dire che ogni azione comporta delle reazioni nell'altro, non è più un rapporto a senso unico, un monologo, ma un dialogo in cui agiscono forze che il narratore non può prevedere ne comandare.
Non pensa, però, di essere
soltanto lui la causa del disagio della ragazza. Pensa che il suo sguardo la
faccia innervosire perché già lei, in partenza e per altre cause, è nervosa. Ma
ecco che inizia a immaginare cosa la ragazza possa pensare, forse lei riversa
tutto il suo nervoso su di lui, come se lui fosse l’unica causa. E il narratore
vuole uscire da questo equivoco, non vuole che lei lo incolpi di cose che non
ha commesso, non vuole essere frainteso. Ma, giustamente, pensa:
Sottolineo il fatto che anche io la sto incolpando immaginando il suo sguardo, la sua non-comprensione.
Come risolvere questo problema? Come si può uscire fuori da questo equivoco? Il narratore decide di agire, di parlare alla ragazza per spiegarle che non è soltanto lui la causa del suo nervosismo.
Adesso mi smonto, adesso distruggo il muro invisibile che si frappone tra queste due persone, una delle quali sono io, appunto.
Esporsi agli altri è per lui uno smontare la sua unità dell’io, farsi in pezzi per ricomporsi insieme all'altro. Vuole usare di nuovo l’incantesimo dell’immedesimazione, ma questa volta l’incantesimo fallisce:
Voi non crediate che basti essere maghi per essere maghi, e non provate a farlo a casa: non cominciate mai discorsi profondi senza pretesti, non sentitevi protetti dai talenti, dalle intenzioni, dai buoni sentimenti, l’unica cosa che conta è la porta senza porta, che in questo caso è chiusa, ed io sbaglio la formula.
Il narratore inizia a parlare con la ragazza, la quale inizialmente non risponde. Il protagonista cerca di spiegarle cosa è accaduto, vuole farle capire che non voleva renderla nervosa attraverso il suo sguardo. La ragazza però non capisce le buone intenzioni del narratore e gli dice malamente di andarsene. E, mentre il narratore se ne sta andando, la ragazza pronuncia la frase che più di tutti il protagonista non vuole mai sentirsi dire da nessuno, la cosa contro cui combatte sempre:
“Voi uomini siete tutti uguali!”
È il delirio! Il panico! La rabbia si impossessa del narratore. Lui, che non vuole mai racchiudere una persona dentro una categoria, lui che vede nelle persone solo individui unici, si sente descritto in modo così superficiale, banale e senza alcun senso profondo. L’ira esplode, il narratore urla:
Puttana, puttana nervosa di merda! Io non sono un essere umano, io non sono uguale! Me ne sto andando, non è vero che le donne sono più sensibili, sono empaticamente sterili, anzi non tutte, però tu sicuramente! Prendi un passante che ti guarda e si fa domande e lo cospargi delle tue ansie e debolezze! Sei tu quella che dovrebbe andarsene!
Inizia un vero e proprio litigio, prima fatto di urla che degradano sempre di più in insulti e addirittura sputi. Come si è visto nella canzone precedente il narratore vede nel litigio un rapporto in realtà molto intimo e profondo con l’altro con cui si sta litigando. Osserva infatti che anche gli sputi che si stanno lanciando sono comunque scambi di saliva, sono intimi come fossero baci.
Il primo vero incontro con
l’altro è subito finito in schiaffi e sputi. Questo per via del fatto che il
narratore non è riuscito a immedesimarsi davvero in lei, ma l’ha coperta con le
sue idee, con il pensiero di cosa lei stesse pensando. E anche la ragazza ha
fatto lo stesso.
Non vi sto raccontando degli episodi degradanti per alimentare il vostro moralismo, indirizzare il vostro giudizio. Voglio che voi entriate nelle cose, non che vi chiudiate in gabbie e prendiate le distanze.
Come sempre il narratore parla a chi lo sta ascoltando, dicendogli di non fermarsi alla superficie dei suoi racconti, di non vedere soltanto il fatto che lui si stia picchiando con una donna, ma di approfondire e capire il fondamento di questo suo gesto. Inoltre vuole che le persone giudichino quello che vedono in base alla propria coscienza, non per partito preso, non in base a un’idea altrui.
Non tutti si scontrano per gioco, non tutti stanno al giogo dell’allenamento, non tutti incastrano a forza una morale nel picchiare da sfoggiare per giustificare il come e il quando: io e questa ragazza ci stiamo solo picchiando.
Il suo gesto non ha un senso morale o trascendente, non ha un senso superiore, è un’azione fine a se stessa. Così come il suo io è fine a se stesso senza legami verso idee trascendenti. Le sue azioni non hanno caratteri morali, sono soltanto azioni di un io soggettivo e accresciuto. Successivamente il narratore precisa:
Per voi la violenza è tutta uguale e non distinguete una contesa da una prepotenza.
Vede questo suo gesto come una contesa e non una prepotenza. La differenza è sostanziale, nella contesa i due contendenti sono alla pari, sullo stesso piano e la loro è una lotta dialettica. La prepotenza, invece, è unilaterale, a senso unico, ovvero una persona più forte che sovrasta una più debole.
Ottavo incontro con l’altro: Il nervoso
Questa canzone si apre con il
protagonista che racconta di essere a casa di amici e di essere nervoso. Si può
immaginare che il viaggio in treno che ha effettuato nella canzone precedente
potrebbe averlo portato appunto nella casa dove si trova ora. Quindi che possa
essere nervoso in seguito al litigio avvenuto in treno. Tuttavia la causa non è
questa, o forse non è soltanto questa. Infatti il narratore spiega:
Vorrei che alcune persone che mi rendono così agitato non mi stessero lontano, interpellandomi saltuariamente come se niente fosse stato. No! Combattiamo, diamo sfogo a questo nervoso, niente saluti di convenienza, oltrepassiamo i nostri limiti sbattendocene dell’apparenza.
Arrivati a questo punto si può capire questa sua affermazione. Ritorna sempre il tema del dialogo, del conflitto come rapporto autentico e veritiero nei confronti dell’altro.
Per combattere il nervoso il
protagonista accende un fuoco, bruciando tutto ciò che trova attorno a lui, il
suo non è un semplice fuoco, ma una pira sacrificale, con un significato più
profondo. Il narratore continua raccontando che lui e i suoi amici stanno
andando ad un rave party. Seguono quindi delle sue considerazioni sulla musica:
Potete anche smettere di aver bisogno di una musica che vi assomigli, che vi attualizzi. Potete anche smettere di aspettarvi che arrivi un gruppo musicale od un genere nuovo ad ispirarvi, salvandovi dai vostri vuoti creativi, tirandovi per le orecchie.
E ancora:
Dovete essere proprio stupidi a non accorgervi che siete voi a decretare quando una cosa è nuova o vecchia.
Anche questo passo rientra negli argomenti principali del disco. Il narratore dice ai suoi ascoltatori di non appoggiarsi a generi musicali predefiniti, ma di avere un ascolto puro e non condizionato e, se vogliono, a creare qualcosa di nuovo.
Tuttavia continua ad essere
nervoso, e questi pensieri non lo aiutano di certo. Lo irritano ulteriormente,
e non è questo che gli serve, deve svagarsi, non pensare. Decide di andare a
ballare insieme agli altri, in questo modo crede di uscire dalla sua testa per
qualche ora.
Va bene, mi lascio andare, mi sblocco! Un po’ di ignoranza! Un viaggio lontano da questa testa e la sua interezza!
Mentre sta per andare, però, incontra l’ennesima ragazza. Anche qui il dialogo finisce in un litigio, anche qui la ragazza si descrive in base a stereotipi.
Il nervoso del protagonista
aumenta. Il protagonista si chiede ancora come può esprimersi e farsi
comprendere dagli altri per quello che lui è veramente. È lui che deve
spiegarsi meglio, sforzarsi di capire gli-altri e farsi capire da loro? Oppure
sono gli-altri che si devono impegnare a comprendere il suo modo di essere?
Ancora non capite? Com'è possibile sfogare quello che non viene fuori? Devo aspettare che siate voi a capire per caso o per natura, oppure sono io a dovermi impegnare nello spiegare oltre i miei limiti? Oppure ancora seguire il flusso degli eventi? Ma, nel frattempo? Mentre voi state credendo di ascoltare un disco od un concerto, e io sto credendo di abbattere questa barriera soffocante, nel frattempo come faccio? Come si fa a stare male? Come posso trasmettermi agli altri senza che si innervosiscano anche loro, come me. Come? Come posso io? Qual è questo incantesimo?
Il protagonista prende un bastone e inizia a sfogarsi urlando e colpendo un palo. La sua è un’azione pura che in quel momento lo pervade tutto permettendogli di arrivare al non-pensiero. Come in molti insegnamenti Zen o di artisti marziali, è l’azione che porta ad uno stadio superiore a quello del pensiero razionale. Questa sensazione si può trovare anche attraverso il dolore, infatti, l’ultimo colpo che il protagonista sferra si ritorce contro di lui, facendolo cadere a terra dolorante. In questo momento non pensa in base a concetti astratti, ma per immagini:
Ho delle immagini, niente risposte. Perdo tutto.
Il dolore è qualcosa di irrazionale che non può controllare. È una forma di purificazione, come la pira che ha accesso all'inizio della canzone. Mentre il narratore picchiava il palo le persone attorno lo guardavano, ma per lui non esistevano, nell'azione pura gli-altri erano spariti. Così come il loro giudizio. La sua mente dunque si svuota, il nervoso passa.
Fine del nervoso. Sono disteso in terra a bocca aperta e testa vuota. E adesso? E ora cosa inizia?
Nono incontro con l’altro: Dio
Il protagonista si sveglia una
mattina con il mal di testa, un dolore cervicale che gli impedisce di fare qualsiasi
cosa. Sarà forse dovuto al trauma che ha subito nella canzone precedente? Il
primo rimedio che usa per placare questo dolore è il farsi un doccia bollente,
ma il mal di testa non diminuisce.
Durante la doccia, però, il
narratore osserva l’ambiente circostante e gli oggetti con cui entra in
contatto. Essi non sono persone, non sono umani, tuttavia possono essere
considerati come degli altri? Sono cose esterne a lui, addirittura non
appartengono alle cose animate. Tuttavia il protagonista trova dei punti di
contatto tra lui e, ad esempio, la tenda della sua doccia:
Elemento: plastica; molecola: molto complessa. Nasce dal petrolio, fatto di fossili, piante, animali, umani – sono anche io un essere umano? Che mal di testa, sono molto simile alla mia tenda della doccia.
La seconda cura allora è fare una passeggiata. Al posto di prendere delle medicine, dice il narratore, questa è il miglior farmaco per qualsiasi male, sia fisico che emotivo. Dunque si veste ma, mentre sta per uscire, qualcuno suona alla porta. Il narratore apre e si trova davanti due testimoni di Geova. Un uomo e una donna che cercano di lasciargli il loro opuscolo. Il narratore si concentra come sempre sulla donna, descrivendola fisicamente, notando che la sua aria innocente in realtà trasmette molta più sensualità di quanto lei non pensi. Il protagonista cerca subito di farli andare via, il mal di testa sta aumentando e lui non vede l’ora di iniziare la sua passeggiata. Gli dice quello che pensa di loro, ovvero, tra le altre cose che:
Tenere l’etica in un libro mi fa abbastanza schifo.
Come abbiamo già visto il narratore rifiuta tutti quei modi di pensare basati su idee superiori immutabili. Quindi avere un’etica, cioè un insieme di regole da seguire, dentro ad un mezzo così poco flessibile come un libro, per lui è inconcepibile. La sua etica muta di volta in volta in relazione alle singole situazioni in cui si trova a vivere. Per lui esistono anche solo singole persone, infatti c’è un aspetto che apprezza dei testimoni di Geova:
Apprezzo invece che andiate a proporvi casa per casa, che non abbiate una chiesa vera. Fate breccia in chi è dubbioso, non in chi è pervaso da un forte credo religioso.
Riesce infine a mandare via i testimoni e incominciare la camminata. Già dall'inizio della canzone in alcuni momenti ci si trova di fronte ad un dialogo interno tra il narratore e un altro suo io, qualcuno che dall'inizio gli sta consigliando cosa fare per curarsi dal mal di testa. Ma di chi è questa voce? Lo stesso narratore, oppure un altro suo io, pone la domanda:
A volte non ho la minima idea di quel che sto dicendo, di cosa mi capiti. Il disordine trionfa, il caos nel dialogo. E secondo voi chi sta parlando adesso? Sono io? Uno dei miei me? Un testimone di Geova? I miei nervi?
Poi aggiunge:
Perché non sono intero quando cammino, quando parlo ad un amico, quando curo il mal di testa, quando vedo una ragazza che forse mi interessa – no, forse no, forse sì, cosa voglio? Cosa mi manca? Quale altra domanda soddisfa questo buco nello stomaco? Fame di espansione?
Non solo il suo io non è intero, ma frammentario e composto da più io. Ma, in questa canzone, essi addirittura iniziano a dialogare tra loro.Il protagonista si sente incompleto, cosa gli manca? Forse l’incontro con i testimoni di Geova gli ha fatto venire un’idea:
Forse credo in Dio? Non l’avrei mai detto! Probabilmente il punto è questo: tutto ciò che mi rende incompleto ora ha un nesso: Dio, la suprema risposta a ogni quesito.
Di colpo crede di aver capito tutto, è Dio ciò che gli manca per colmare il suo vuoto interiore! Ma come questa illuminazione è apparsa improvvisamente, così inizia a sgonfiarsi sotto le domande che il narratore si pone: questo dio a cui ora ho capito di credere, che cos'è? Si chiede. Dio rimane comunque, come la tenda della doccia, un altro, totalmente esterno ai suoi io e anche al suo essere un umano. La prima risposta sull'essenza del suo Dio è: un essere superiore che ha generato tutto, poi: un’entità con la coscienza, una forza che scorre e permea tutte le cose, poi: un insieme di forze, infine: un legame di tutto ciò che esiste, un algoritmo complessissimo. Ma nessuna di queste risposte lo soddisfa, ognuna gli lascia qualche dubbio e il Dio in cui credi non può lasciarti dubbi. Tutte queste ipotesi sulla natura del suo Dio avvengono sempre in un dialogo interno tra diversi suoi io. Alla fine giunge alla conclusione:
Forse non credo in Dio, sono solo una persona molto disordinata a cui non basta mai lo spazio. Sbagliato! Tu non sei una sola persona. Giusto!
Ed ecco che ora arriva la seconda illuminazione, quella più importante, quella su cui si fonda tutta la trama del disco:
Hai bisogno di parlare con qualcuno di esterno al tuo sistema che identifichi con il vocabolo gli altri.
Ecco qual era la causa del suo vuoto! Non era Dio, erano gli-altri! Solo loro possono colmare la sua incompletezza, i suoi io, per quanto infiniti, non bastano, sentirà sempre mancare qualcosa finché non entrerà in contatto con gli-altri. Solo gli-altri lo possono aiutare:
Sono in pezzi. Qualcuno per favore può raccogliermi?
Decimo incontro con l’altro: Gli ascoltatori
Nella canzone che chiude il disco
(ma che in realtà lo fa anche ricominciare dato il suo carattere circolare che
abbiamo detto all'inizio), il narratore cerca di superare l’ostacolo ultimo e
invalicabile che pensa esista tra lui e una categoria di persone, ovvero gli
ascoltatori del suo disco. Questa canzone si potrebbe definire infatti una
meta-canzone, in quanto essa parla di se stessa. Come dice lo stesso
protagonista:
In questo pezzo non succede niente, è solo un modo personale esteso per dire adesso.
Nel corso del brano, infatti, si descrivono quattro tipi di adesso:
il primo adesso, ovvero il
momento in cui il narratore sta scrivendo il testo di questa canzone, questo
adesso è avvenuto nel passato.
Il secondo adesso: quando il
narratore registra la canzone, dandole così un carattere fisico, eterno e
immutabile, e rendendola ascoltabile a tutti nel futuro.
Il terzo adesso: il momento in
cui l’ascoltatore sta ascoltando la canzone. Il terzo adesso, a differenza
degli altri due, è insieme un attimo irripetibile ma anche continuamente
riproducibile, in quanto l’ascoltatore può sentire più volte la stessa canzone.
Ogni volta, comunque, avviene il terzo adesso.
Il quarto adesso: è un momento
che avverrà nel futuro, in cui il narratore che ha scritto la canzone si
esibirà in concerto. La canzone verrà quindi ripetuta, gli ascoltatori la
riascolteranno, ma diversamente dal terzo adesso, in quanto ora si crea un
interazione tra il pubblico e il cantante. Tuttavia al narratore non piace
questo tipo di relazione, in cui lui parla ad un pubblico che recepisce
passivamente. Vuole invece avere un rapporto dialettico e di sana contesa con
il suo pubblico:
Non è questo il momento in cui si crea l’interazione, bensì dopo, giù dal palco, quando abbiamo finito, possiamo avere un bel litigio, un dialogo, una discussione. Siamo qui per questo, non per il concerto.
Tuttavia la canzone cambia immediatamente verso. Il narratore spiega che nessuno di questi quattro adesso, in realtà, lo rendono davvero felice come il momento in cui sogna.
Gli unici momenti, che sento vivi ed autentici, sono gli onirici percorsi che non posso trasmettervi, dato che il mio cervello non esce composito.
Per lui la realtà fuori, quella dei rapporti con gli-altri, non è paragonabile in bellezza a quella interiore dei suoi io. Inutile provare a rapportarsi agli altri, inutili sono anche le opere altrui, l’unica cosa che apprezza è il suo io, la sua interiorità in cui è rinchiuso.
Non ho mai visto nessuno film, cartone animato, ascoltato disco, letto libro, giocato a gioco, trascorso momento, che fosse attiguo ad un frammento del mio incubo migliore, o al mio peggiore sogno. Un luogo senza momenti, un momento senza luoghi, che dà potere ai maghi disintegrandoli in frantumi paradossi.
Ora, però, vuole provare a trasmettere ai suoi ascoltatori qualcosa di questi suoi percorsi onirici.
Adesso vi trascrivo paro paro alcuni estratti dei miei privati scritti in cui mi appunto i sogni, così disintegro ciò di cui stiamo parlando.
Seguono spezzoni di sogni, immagini oniriche e surreali, accostamenti stravaganti e così via. Il narratore in questo modo crede di averci detto qualcosa? Crede di averci fatto accedere ai suoi sogni? Sentendo i racconti dei suoi sogni noi non capiamo niente, in quanto non abbiamo i mezzi per farlo. Può anche starci raccontando delle sue emozioni intime o fondamentali per se stesso, ma a noi non arrivano.
Il protagonista vuole distruggere
ogni convenzione, ogni luogo comune, ma in questo modo cade nell'interiorità,
nella soggettività infinita che taglia fuori ogni rapporto con gli-altri. La
comunicazione, infatti, si basa fondamentalmente su convenzioni, su regole
comuni. Le relazioni con gli-altri si basano su convenzioni sociali per forza
astratte e inglobanti le differenze. I racconti dei suoi sogni non sono
dialoghi verso l’esterno ma monologhi interiori indecifrabili se non a lui.
Gli-altri, infine, scompaiono:
Sconveniente e faticoso, come alzarmi dal mio letto ed appuntare un
incubo importante. Non c’è niente che me lo impone, non c’è nemmeno amore, od
amore per le persone. Sono soltanto io in frammenti, senza frattale, senza
illusione.
LCPA
Ringrazio il sito I testi degli Uochi Toki per avermi semplificato molto il lavoro.
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